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Grazie alla tecnologia a Volterra torna alla luce “l’anfiteatro che non c’era”

Grazie alla tecnologia a Volterra torna alla luce “l’anfiteatro che non c’era“.

Soprintendenza, Università e CNR insieme per far riemergere l’anfiteatro romano che non c’era, attraverso l’impiego delle più moderne metodologie e tecnologie dell’odierna ricerca archeologica.

A Volterra, cittadina in provincia di Pisa, a sud-ovest di Firenze, gli scavi archeologici nella vallecola all’esterno della cinta muraria medievale, in prossimità della c.d. Porta Diana delle mura etrusche e a poche centinaia di metri dal teatro romano scoperto negli anni ’50, stanno restituendo le imponenti strutture di un anfiteatro romano di oltre 80 x 60 metri, edificato nel I secolo d.C., presumibilmente in epoca augustea, di cui non vi è traccia nelle fonti storiche ed archivistiche.

Ci troviamo di fronte ad un riuscito esperimento di archeologia globale, in cui entrano in gioco saperi umanistici e discipline scientifiche, con una sapiente miscela di moderne metodologie d’indagine e strumenti tecnologici non invasivi all’avanguardia per precisione, in grado di portare alla luce un monumento che potrebbe riscrivere la storia della Volterra romana, a lungo posta in secondo piano rispetto a quella etrusca.

Le campagne di scavo realizzate in maniera estensiva e continuativa dal 2019, dopo la casuale scoperta avvenuta nel 2015, sotto la direzione scientifica di Elena Sorge, archeologa e funzionaria della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno (SABAP PI-LI), vedono impegnato un team multidisciplinare di oltre venti operatori tra restauratori, archeologi, operai, topografi/rilevatori e ingegneri, in uno scenario di straordinaria collaborazione tra Soprintendenza, Università e CNR che ci ha donato nuova conoscenza sul nostro patrimonio culturale.

Siamo di fronte ad una scoperta straordinaria ed incredibile per cui lavorano insieme Soprintendenza, Università e Cnr. Un esperimento di ricerca unica con uno scavo archeologico di questo genere, in cui vengono utilizzati tutti i nuovi strumenti all’avanguardia messi a disposizione dalla tecnologia”, ha dichiarato il Ministro della Cultura Dario Franceschini, in visita agli scavi.

Acquisizione, rappresentazione grafica e modellazione tridimensionale di dati archeologici e topografici per documentare, ricostruire graficamente e visualizzare tridimensionalmente con strumenti digitali “l’anfiteatro che non c’era”.

Per lo studio dettagliato dei ritrovamenti, il CNR ISPC di Firenze ha dato il proprio contributo realizzando la documentazione digitale delle strutture murarie del monumento e delle unità stratigrafiche individuate nel corso dello scavo. A caratterizzare la campagna di rilievo, guidata da Giorgio Franco Pocobelli, archeologo e ricercatore CNR ISPC della sede fiorentina, sono state le tecniche di restituzione fotogrammetrica e l’uso di software per la modellazione 3D.

Collimando punti topografici georeferenziati con stazione totale o GPS e applicando i principi della stereoscopia – ci racconta Giorgio F. Pocobelli – è possibile ottenere attraverso un data-set di immagini un modello a nuvola di punti geometricamente corretto, in tutto simile ai rilievi eseguiti con tecniche di rilevamento con sensori attivi, mantenendo però inalterato il cromatismo fotografico delle evidenze archeologiche indagate”.

Sono state impiegate dunque metodologie integrate e tecnologie di frontiera atte a migliorare la qualità dei dati nelle diverse fasi di acquisizione, elaborazione, restituzione, gestione e interpretazione delle informazioni archeologiche ottenute attraverso lo scavo stratigrafico.

L’istituto è anche impegnato nelle indagini archeometriche con campagne di campionamento per l’analisi composizionale delle malte e dei materiali di costruzione, oltre alle analisi di laboratorio dei campioni organici individuati nel corso dello scavo.

Così grazie alla tecnologia l’anfiteatro che non c’era, divenuto famoso in tutto il mondo, custode di un passato fino ad ora taciuto, riscriverà la storia di Volterra e del nostro patrimonio culturale.

(Fonte: CNR-ISPC)

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